Riflessioni inviateci da Sergio F.
Questa piccola riflessione nasce dalla personale rilettura di una ricerca italiana sull’omofobia del 2015 che ha avuto grossa eco sui giornali. Ho riflettuto sul tipo di testimonianza che siamo chiamati a dare nella ferma convinzione che essere omosessuali sia un dono che Dio ha fatto.
I risultati dello studio, svolto dal dr. Giacomo Ciocca e colleghi su un campione di studenti universitari tramite questionari, mostravano come l’omofobia fosse maggiore nei ragazzi e si presentasse correlata a personalità immature, con meccanismi di difesa arcaici, tendenti al pensiero concreto e con stile di attaccamento insicuro. In altre parole ragazzi con personalità incerte, poco profondi, caratterizzati da insicurezza e paure.
Immaginavo che potesse significare incontrare una persona del genere nella nostra vita: arrabbiata, aggressiva, in cerca di un oggetto sul quale scaricare insicurezze e paure. Rivedendo alcuni episodi della mia vita mi accorgevo come in questo caso essere testimoni significava recuperare il senso primigenio della parola dalla quale quel termine deriva, ossia martiri. Si presentava in me un senso di disagio crescente.
Una frase dello studio poi ha attirato la mia attenzione in particolare, che cito in modo non letterale: “L’associazione tra aspetti disfunzionali della personalità ed atteggiamenti omofobi potrebbero generare due possibili vittime: potenziali colpevoli di delitti sessuali (sex offenders) e soprattutto soggetti omosessuali”. Mi vedevo investito dall’onda lunga dell’odio e sentivo dentro di me crescere la paura: “Chi dovrei affrontare nel mio cammino di testimonianza, delle persone che lo studio sembra dire di umano hanno ben poco? Come faccio a vedere in loro dei fratelli?“. Ammetto di essermi sentito perduto per un attimo in un mondo ostile.
Poi mi sono ricordato la Sua promessa “Non abbiate paura! Io ho vinto il mondo!” (Gv. 16, 33) e questo mi ha quietato. Ho rivisto la mia ostilità verso queste persone, la mia rabbia per quello che ritenevo ingiusto e mi sono accorto di quanto c’era di mio nella visione di prima, quanto avevo messo dentro di loro il mio stesso odio, quanto invece fosse meraviglioso sapere essere un uomo che ama un uomo donandosi e quanto questo, nonostante tutto quello che avrebbero potuto dire o farmi, mi rendesse degno di amore.
So che Dio mi ama come sono. Ne sono intimamente convinto. Lui mi ha mostrato la via che passa per l’amore verso il mio prossimo, ma che non può esimersi dal contemplare la possibilità che l’altro, il mio stesso fratello, possa farmi oggetto del suo odio. Non posso sottrarmi alla sfida.
Dovrà essere un amore attento, rispettoso dell’altro e consapevole della mia dignità ai Suoi occhi. Questo mi basta, anche se dovesse chiedermi l’ultimo sacrificio, il più grande: perdonare i miei nemici. Perché in fondo ci si evangelizza sempre in due e anche loro, paradossalmente, fanno la loro parte.