“Vi do un nuovo comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34-35)

Sermone di Delia Allotta, predicatrice locale valdese, tenuto alla Veglia per il superamento della trans-omofobia nella Chiesa Cattolica di S. Maria della catena di Palermo il 17 Maggio 2016

Vi do un nuovo comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35)

Come riconoscere un Cristiano, una Cristiana? Cosa ci fa intuire di trovarci in presenza di un/una seguace di Cristo? Spesso ad attirare la nostra attenzione sono i simboli religiosi : una piccola croce appesa al collo, una Bibbia tra le mani…o ci capita di ascoltare qualcuno/a che pronuncia dei versetti biblici a memoria o che fa riferimento ad episodi della Scrittura.
Ancora più spesso Cristiani ci autodefiniamo, affermiamo di esserlo perché frequentiamo la Chiesa o la frequentavano i nostri genitori; Cristiani per aver ricevuto il battesimo, perché riconosciamo il valore salvifico della croce …. così essere Cristiani talvolta può ridursi ad una etichetta, ad un distintivo come tanti altri, quasi la tessera di un club. Gesù ci invita a non fermarci alle apparenze ma di andare dritto al contenuto, al cuore di ogni discussione. Il discepolo di Cristo infatti, é riconoscibile soltanto da come agisce verso gli altri:

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli : se avete amore gli uni per gli altri

L’amore dunque come segno distintivo, l’amore del quale abbiamo ascoltato le svariate qualità, le molteplici sfumature, durante la lettura della prima epistola di Paolo ai Cristiani di Corinto, in quel capitolo che, a ragione, è chiamato l’inno all’amore, all’agàpe! Ed è proprio di agàpe, di amore fraterno, vicendevole che ci parla Gesù quando dice : Come io ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri. Un amore accogliente, coinvolgente , un amore contagioso!

Amatevi come io vi ho amato. Che Maestro esigente il nostro Gesù! Che impegno gravoso ci chiede! Una missione impossibile, una meta irraggiungibile! Amare come Lui ci ha amato e ci ha amato fino al punto da morire sulla croce! No, noi non siamo dei superuomini, dei personaggi della fantascienza ,no, non ce la faremo mai! E’ la nostra amara constatazione ad una prima lettura veloce, superficiale di questi versetti ma noi non ci arrendiamo e cerchiamo stasera, tutti insieme con l’aiuto dello Spirito Santo, di approfondirne il senso, di sviscerarne il significato.

Sorelle e fratelli, leggendo i Vangeli talvolta ci sembra di essere entrati in un videogame, uno di quei giochi scaricabili da Internet, dove l’indice di difficoltà va via via aumentando: Prima – Ama il prossimo tuo come te stesso (Lc.22,39b) poi – Amate i vostri nemici (Gv.6,27) ora- Amatevi come io vi ho amato (Gv.13,34b).Se riusciremo forse a superare le prime due tappe, se pur con grandi, enormi difficoltà , la terza rimarrebbe uno scoglio insormontabile se non ci fermassimo a considerare che non si tratta di aumentare la quantità di amore da offrire al prossimo, al nemico ma qualità ( Gesù infatti dice : come io vi ho amato) Amare con lo stesso amore con il quale siamo stati amati, nella stessa maniera, tale e quale.

Quel come ( kathòs) può anche essere tradotto perché: Amatevi perché io vi ho amati. In entrambi i casi si tratta di restituire l’amore che abbiamo ricevuto da Cristo dopo averlo fatto fluire tra noi come in un rimescolamento ; siamo invitati a cancellare quella linea verticale che tante volte abbiamo tracciato tra noi e Dio, noi e il “nostro” Dio e ridisegnarne una nuova, orizzontale tra noi e il nostro prossimo; è indispensabile permettere all’amore di scorrere, di circolare tra noi: amare Dio attraverso il nostro prossimo.

Io vi do un comandamento nuovo ed è veramente nuovo, innovativo il comandamento di Gesù, non è un altro comandamento da aggiungere al decalogo, non è l’undicesimo comandamento, ma è una cosa nuova, diversa. In greco ci sono due aggettivi che significano nuovo (neòs e kainòs) ; l’evangelista Giovanni sceglie quello che indica non il nuovo in senso cronologico (neòs), nuovo perché segue il vecchio, ma nuovo come diverso, altro (kainòs), una novità rispetto al passato. Più che un comandamento è un nuovo patto non si parla di legge (nòmos) ma di patto ( entolè) ; è come se Gesù ci dicesse: << Tu conosci i comandamenti che ti ho dato ma ora voglio stringere con te un nuovo patto, una nuova alleanza, ti offro una grossa novità!>>

Questi versetti del Vangelo secondo Giovanni, scelti da Cristiani di diversa denominazione, in occasione delle veglie di preghiera per il superamento dell’omofobia e della transfobia, che si svolgono nelle varie città d’Italia, sono considerati il testamento spirituale di Gesù; vengono infatti pronunciati dopo il tradimento di Giuda, e prima del rinnegamento di Pietro, nel momento cioè dell’abbandono totale, quando Gesù sente che la fine è ormai prossima, una fine alla quale andrà incontro , da solo, tradito e rinnegato. Sono dunque un’eredità, una preziosa eredità che ci viene lasciata; sono parole che resteranno, che verranno per così dire a sostituire Gesù stesso durante la sua momentanea assenza, divenendo esse stesse annuncio, vangelo, buona notizia: L’amore .

Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Non sputatevi addosso, non insultatevi con epiteti volgari, non discriminatevi! Non additate chi è diverso da voi! Amate non ferite, non usate violenza, non uccidete! Sì care sorelle e fratelli, molti/e hanno trovato nel suicidio l’unica via d’uscita ad una condizione resa insopportabile dalla nostra società, una società intollerante, fatta di esclusione anziché di accoglienza, di odio anziché di amore.

Quanto spesso sorelle e fratelli noi diciamo di amare Dio ma non ci curiamo affatto del nostro prossimo! Amate come io vi ho amato è amare in maniera da restituire a ciascuno la propria dignità, è reintegrare l’individuo nel posto che Dio gli ha assegnato nel mondo, proprio come faceva Gesù con l’adultera, il lebbroso, lo straniero, il povero, il disadattato … rimettendo al centro tutti coloro che la società aveva messo ai margini.

Oggi si cerca di emarginare il diverso, colui/ colei che non risponde a determinati requisiti, che non rientra negli schemi prefissati per la sua appartenenza ad una minoranza religiosa, etnica… Oggi si fa di tutto per cercare di livellare, omologare, assimilare tutti e tutte ; si tende ad eliminare le differenze che invece vanno valorizzate perché sono una ricchezza, l’altro/a il diverso da me è incontro conoscenza, è la bellezza dell’alterità!

Amare non è qualcosa di astratto, non è contemplazione, ma si concretizza nel sanare le ferite dell’anima di chi ci sta accanto, nel soccorre i deboli, confortare gli scoraggiati, a prescindere dalla condizione sociale, credo religioso, nazionalità, orientamento sessuale, amare incondizionatamente tutte e tutti perché siamo sorelle e fratelli fin quanto figlie e figli dello stesso Padre.

Amare significa garantire agli altri, alle altre gli stessi diritti ottenuti o per i quali stiamo ancora lottando, offrire pari opportunità in ogni campo perché non ci siano più cittadini di serie A e cittadini di serie B, cittadini con soli doveri e pochi diritti e, grazie a Dio, già in questi giorni abbiamo appreso con gioia che qualcosa si sta muovendo; pur in mezzo a tante difficoltà, obiezioni, ostruzionismi, sono state riconosciute le unioni civili. Amare è soprattutto riconoscere la libertà degli altri, dei nostri simili di colui che è carne della mia carne.

Sorelle e fratelli noi non siamo sordi all’invito di Gesù alla sua novità, siamo in cammino e la nostra meta sebbene lontana non è un’utopia; queste veglie sono le nostre tappe, tappe importanti durante le quali ci fermiamo per riflettere, per ricordare il cammino già fatto e riprendere le forze per quello ancora da fare. Se consideriamo che il 17 maggio 1990 l’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità) cancellava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, di cammino se n’è fatto ma se ci guardiamo attorno, se diamo uno sguardo ai giornali o alla TV, la strada da fare è ancora tanta.

Tappa dopo tappa, anche a piccoli passi, con sacrificio ma con fiducia, tutti insieme, giovani e anziani, forti e deboli, coraggiosi e timidi, dobbiamo iniziare ad uscire da noi stessi per protenderci verso l’altro/ l’altra che sta aspettando di stringere la nostra mano.

Scrive il poeta indiano Rabindranath Tagore:

Sporgi la tua mano attraverso la notte,
ch’io l’afferri, la riempia e la stringa ;
fammi sentire il tuo tocco
per tutto il lungo periodo della mia solitudine. Amen

Pubblicità