Testo preparato per la Veglia per le vittime di tutte le marginalità e dell’omotransfobia di Firenze del 17 maggio 2016
La vita di Paolo non è stata facile. Cresce in un orfanotrofio fino a 8 anni. Dopo, una coppia di professionisti baresi, senza figli, decide di adottarlo. Cresce e, come tutti gli adolescenti, comincia ad avere un rapporto conflittuale con i genitori adottivi.
Nel frattempo diventa maggiorenne. Ma qualcosa non andava nella sua vita. Quel qualcosa Paolo lo avrebbe confidato agli amici intimi, a cui mostrava i segni di percosse sul volto. Raccontava del rapporto sempre più teso con i genitori adottivi che, in un momento di ira, gli avevano gridato che avrebbero dovuto prendere qualcun altro all’orfanotrofio e non lui. Gli amici raccontano che i genitori adottivi non avevano accettato il coming out di Paolo, che amava, riamato, Giulio. Per questo a scuola era stato vittima anche di episodi di bullismo.
È il tre di aprile 2016 quando Paolo invia un messaggio ad alcuni amici, manifestando l’intenzione di farla finita aspettando l’ultimo treno. Lo ha fatto poi un mese dopo; poco prima della mezzanotte di martedì. Ha preso il treno per tornare a casa e, alla fermata che dista pochi metri dall’abitazione dei genitori adottivi, ha imboccato una strada poco battuta.
Alle 23.26 Paolo scrive al suo ragazzo: «Cucciolo ti amo! Perdonami, ti amo». Il suo ragazzo gli massaggia: «Perdonami, per cosa?».
Cala il silenzio. Sono passati 5 minuti dalla mezzanotte, ma questo messaggio su WhatsApp non avrà risposta. L’ultimo treno è passato e Paolo, un ragazzo di 18 anni, si è tolto la vita.
* Testo liberamente tratto da un articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno il 6 maggio 2016